Come sosteneva Freud, “fare i genitori, è il mestiere più difficile in assoluto”Tale affermazione, non può che ricevere consensi.
Non esiste infatti scuola, e non esiste un vademecum che possa insegnare come essere bravi genitori. Esistono regole che possono essere più o meno trasversali, ma poi in fondo ogni bambino è unico, ogni relazione genitore-figlio è unica, e le regole, non possono di certo seguire questa prerogativa di unicità.
Ma poi, essere “bravi genitori”, esattamente cosa significa?
“Essere bravi genitori”, non è un concetto uguale per tutti. Così come non vi è una definizione univoca e universalmente accettata. Al desiderio di essere un bravo genitore, vi è però un razionale di fondo: la paura di sbagliare. La paura di commettere errori nella relazione con i propri figli/e.
Come anche sostiene la psicoterapeuta Stefania Andreoli, “genitore fa rima con errore”. Questo per dire, che dall’errore è impossibile esimersi. Siamo esseri umani e quindi imperfetti. Tale imperfezione si riverbera inesorabilmente, nell’arte di essere genitore.
Sbagliare non è un problema, a patto che si commettano sempre errori diversi. È opportuno essere creativi nel sbagliare ed evitare la reiterazione.
L’errore poi, non è qualcosa di permanente. Si può correggere, riscrivere. Nel tempo quindi ci saranno occasioni per rimediare, occorre solo essere abili nel coglierle. Così facendo, quello sbaglio commesso verso il proprio figlio/a all’età di 3 anni, avrà poi modo di trovare la resa dei conti a 8 o a 12.
Con tale consapevolezza, la vita diviene più leggera, ariosa, piena di fiducia e speranza che si poi si sistemare, correggere sempre. E questo è terapeutico.
Quando si parla di relazione, in particolare di quella genitori e figli, l’amore e il rispetto per l’altro, sono elementi necessari.
Un grazie, uno scusa, un mi dispiace sincero, pronunciato da un genitore ad un figlio/a, nel momento in cui si accorge di aver commesso un errore, è di vitale importanza. Dirlo col cuore, con la dignità che si riserva ad una persona in quanto essere umano. Prima ancora di essere rispetto, è terapeutico. Questo perché, che nelle relazioni ci si ammala e nelle relazioni si può guarire.
Il genitore deve volere bene, bene.
Molto spesso i genitori si preoccupano di quale sia l’età giusta per iniziare a svezzare il proprio figlio. Se sia corretto o meno dormirci insieme, nel letto matrimoniale. In realtà, l’errore non è tenerlo con sé nel lettone piuttosto che nel lettino. Non è concedergli 2 caramelle in più, anziché due in meno. Non sono questi gli errori che fanno di un genitore, un “cattivo genitore”.
L’errore è quando vuoi bene, male. È tutta una questione affettiva. Voler bene bene e voler bene male, sono due competenze diverse (Andreoli, S).
La verità sull’essere “bravi genitori” è che, a meno che non vi siano gravi psicopatologie da compromettere severamente l’equilibrio psicologico, si è sicuramente “bravi genitori”. Che fanno degli errori, si, ma che hanno la capacità di pensarci e chiedere scusa.
In fondo, non è tanto importante ciò che si fa, ma l’intenzione che ne è alla base.Se si possiede l’abilità di spiegare le motivazioni in modo credibile, che diano il senso che quella determinata cosa, è stata fatta nella totale consapevolezza di una motivazione che la sostenesse.
Quindi va bene quasi tutto, purché abbia un motivo, un razionale. Per ciò che non va bene, invece, occorre chiedere scusa, sempre. Un “bravo genitore” quindi, deve sentirsi iper-responsabilizzato nel riconoscere i propri errori e scusarsi col figlio/a, ogni volta che si ravveda necessità.
Voler bene bene, cosa significa?
Da un certo punto di vista è inspiegabile. Si può forse captare, ma non spiegare. Si potrebbe sinteticamente dire che sia la differenza tra amore sano e malato.
Voler bene, bene, significa essere “bravi genitori”, che a sua volta significa sbagliare e chiedere scusa.